venerdì 17 ottobre 2008

Aiuti di Stato all’industria delle biciclette

Le ultime capriole del sistema creditizio e finanziario mondiale sono motivo di grossa preoccupazione, ovvero dell'innescarsi di un'instabilità che possa portare alla distruzione del sistema economico attuale.

Di fronte a questa prospettiva, anche abbastanza concreta, tutti si sono rimangiati rapidamente le professioni di fede nel libero mercato e sono corsi a tamponare le falle con fiumi di denaro dei (sempre più) poveri contribuenti.

Non c’era altra scelta, probabilmente.

Era il male minore, si dirà, e anche a ragione. Però appare duro da mandare giù che i soldi per salvare i danni fatti dai manager multimilionari debbano essere pagate con le tasse prese (anche) dallo stipendio dei precari e di tutti quelli che stentano ad arrivare alla fine del mese.

D’altra parte in Italia era già avvenuto per il calcio: le società di calcio, tutte indebitate pagando ingaggi favolosi ai loro beniamini, venivano salvate dal fallimento (tranne la Fiorentina) con leggi speciali ad hoc. Anche se si erano quotate in borsa come qualsiasi altra società. D’altra parte cosa non si farebbe in Italia per il calcio?

Comunque vada, nel libero mercato è stupido prendersela con gli stipendi alti dei calciatori e dei manager. Stupido e forse giuridicamente impossibile.

Invece di parlare a vanvera occorre fare in modo di regolare, ovvero scoraggiare o proibire contratti che portino i manager ad agire in conflitto di interesse con le loro stesse società. Mi pare che i meccanismi di retribuzione legati a risultati a breve abbiano effettivamente avuto la loro parte in questa storia.

Mi vengono invece in mente, per esempio, meccanismi di retribuzione differita. Ad esempio oltre certi limiti, i soldi li prendi solo dopo 5 anni dal loro pagamento, se la società non fallisce… Va bene, stupidaggini, ma nemmeno tanto.

Quello che per un ciclista è veramente difficile da mandare giù sono gli aiuti di Stato all’industria automobilistica. Non fraintendetemi: dopo tanti soldi spesi per la finanza un minimo di soldi all’industria, quella vera, non sono male. Però, perché proprio a quella automobilistica? O meglio, perché a quella automobilistica indifferenziata? Giàcche ci siamo, diamo soldi anche alla motonautica o agli acquascooter, così sono tutti ancora più incentivati a romperci le balle mentre tentiamo di goderci in pace il mare.

Inoltre le catastrofi economiche hanno fatto dimenticare il petrolio a 140 $ a barile. Adesso costa molto di meno (anche perché il rapporto euro/dollaro è cambiato). Ma appena la situazione si calma, (altrimenti ci troviamo tutti a pascolare le lamalfiane pecore) il problema ritorna fuori.

I soldi andrebbero dati all'industria per riconvertirsi verso prodotti ecologicamente compatibili (quelli veri, non macchine ibride da 400 CV che consumano come quelle da 300).

E qui viene il secondo problema. Da Bruxelles è fresca la notizia del dissenso del nostro Paese sul pacchetto ambiente. Le opinioni in tema sono discordi, e io stesso nel mio campo mi sono trovato di fronte a posizioni ambientaliste impossibili da sostenere sul piano pratico.

E' verosimile che la nostra industria, esposta per carenze del paese ad altissimi prezzi dell’energia, non sia in grado di resistere ad un ulteriore aggravio dei costi. Ma ci si può allontanare dal resto d’Europa per troppo tempo, e soprattutto si dovrebbe proporre qualcosa di alternativo.

Infatti prima o poi il problema dovrà essere affrontato con serietà. Affrontarlo con serietà è, a mio modesto parere, proprio preparare una riconversione dell’industria verso prodotti sofisticati ma ecologicamente compatibili, e anche operare una riconversione culturale dei consumatori. Allora, avendo l’industria strategicamente piazzata, si può affrontare con tranquillità (o addirittura premere per…) un irrigidimento delle norme ambientali.

In questo quadro gli aiuti di Stato dovrebbero andare all’industria velocipedistica, alle grandi ciclostrade a 4 corsie, alla passerella ciclabile di Messina, all’alta velocità a pedali (illustrata in un prossimo post…) e, più seriamente, allo sviluppo di tecnologie e soprattutto attraenti prodotti a basso impatto ambientale.

Con la fantasia e la creatività che ci distingue, ed il gusto innato che ha l'italiano, potremmo imporrei i nostri prodotti a tutto il mondo… invece di andare a rimorchio. Vi ricordate quando la FIAT continuava a produrre auto da sottoproletariato, convinta di poterle sempre imporre al popolo italiano? Come è finita? Si è dovuta riadattare al nuovo mercato. E adesso sta andando bene (ops…)

Nessun commento:

Posta un commento