Sfidando l'umidità autunnale, una pattuglia di coraggiosi si è avventurata per i viali umidi della temibile Pineta di Ostia, luogo di perdizione (a pagamento) e anche di smarrimento, per fortuna avevamo due guide e il GPS.
Il piccolo drappello, sceso dall'Ostia Express ha assoldato alcuni indigeni (Antonietta in HopTown 5, Roberto, Alberto e Patrizia) e si è fatto guidare per la foresta oscura stillante umidità e resina, con meta la mitica Villam Pliniensis
L'indigeno da corsa (Roberto) si è infilato a velocità incredibile per i sentieri sotto gli alberi, tanto che qualcuno ha rischiato di andare lungo.
Dopodichè una bella ispezione alla corsia ciclabile che taglia la giungla , le cui strisce sono state appena ripittate così che le auto che ci parcheggiano sono sicure proprio di occupare una corsia ciclabile.
Dopodichè dopo un'altra corsa dell'indigeno da corsa, l'altra indigena ci ha guidato per un sentiero sabbioso che saliva e scendeva continuamente.
Una specie di snake ma in pianura con 20 cm di sabbia.
Una cosa che in discesa non si andava, ed in salita avevi bisogno dei cingoli perchè le ruote si rifiutavano di spingere.
Interessante la discarica associata al sentiero, che poi uno si chiede: ma quale tribù viveva qui, per accumulare tanti rifiuti così ben nascosti sotto gli alberi?
Un altro vagabondare per i misteri della foresta e finalmente ci appare la mitica Villa Pliniensis... che in effetti avrebbe bisogno di un restauro. Ce ne siamo accorti perchè lì ha cominciato a piovere e abbiamo notato qualche infiltrazione d'acqua dal tetto...
Comunque, vista l'umidità, ci siamo fiondati fuori e abbiamo ricominciato il nostro vagabondare. Visto che l'umidità aumentava ci siamo avvoltolati nella plastica. Io e Alberto ci siamo fermati e alla fine della vestizione (giacca, calzoni impermeabili, cappello, etc.) è improvvisamente finita la pioggia ed è uscito un sole da sauna. Processo al completo.
Dopo queste disavventure ci siamo diretti all'oasi alimentare e dopo ben 3,5 km di pianura, esausti ci siamo messi a mangiare illuminati da un bel sole. Dopo il caffè, pausa sul litorale, due ore scarse di riposo, che dopo 3,5 km di pianura è veramente niente, ci siamo diretti verso la stazione di Acilia.
Alberto e Patrizia ci hanno guidati attraverso un misterioso villaggio di nome Casalpalocco, abitato da indigene dai capelli biondi e dal conto di molti zeri, almeno all'epoca. Si dice che da queste parti sia localizzato anche il luogo natale di un altro indigeno dal pittoresco nome di Mirtillo, attualmente disabitato, perchè l'indigeno si è spostato in città.
In effetti avevo visto un paio di case disabitate e volevo andare a citofonare per vedere se non c'era. Se non c'era era proprio quella la casa, perchè da anni non abita più lì.
Alla fine il vero pericolo: la pista di Acilia. Prudentemente, per evitare i bisonti della pista, abbiamo pedalato ai lati (non è proprio che si possano definire marciapiedi) talvolta collidendo con altri indigeni che ivi deambulavano con sguardo vacuo.
Alla fine, accomiatatici dagl'indigeni, siamo saltati al volo sul cavallo a vapore, che ci ha ricondotto finalmente nel modo civile (San Paolo, insomma... si fa per dire, ovviamente).
Un grazie agli esploratori e agli indigeni che ci hanno fatto la guida.
Un benvenuto ad Alberto e Patrizia, che spero si uniscano a Cicloappuntamenti!!!
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