mercoledì 4 aprile 2012

Salvaciclisti – Pericolo e Rischio

Il pregio dell’iniziativa salva ciclisti è di aver portato all’attenzione di molti la situazione di precaria sicurezza –se non di rischio- nella quale versano i ciclisti italiani. La mia sensazione è che tutti gli utenti della strada in Italia siano meno sicuri che nel resto d’Europa, ma chiaramente ciclisti e pedoni sono i più vulnerabili.

Il difetto è che è unì’iniziativa per adesso priva i contenuti concreti.

I famosi otto punti mi sembrano inadatti a risolvere i problemi di sicurezza a casa nostra. Direi che gli otto punti del salva ciclisti edizione romana sono molto più concreti ed adatti alla situazione italiana, forse con l’esclusione del Trentino Alto Adige e di Venezia (dove il giubbotto per salvare i ciclisti dall’affogamento sembrerebbe la misura più necessaria).

Un’altra complicazione è che il perseguimento della sicurezza richiede la padronanza di alcuni concetti base, che sono il pericolo ed il rischio. Infatti, come amano dire gli anglosassoni, non puoi gestire quello che non misuri. Quindi si deve cercare di misurare la nostra condizione di rischio, attraverso le metodologie ormai diffuse in tutti i settori.

La prima parola che dobbiamo imparare è “pericolo”. Ohibò, già la conosciamo. E’ vero, però rendiamola rigorosa:

«pericolo»: qualsiasi condizione, evento o circostanza che possa indurre un incidente;

Costituisce un pericolo un’auto che ti passa vicino, una buca di una certa dimensione, una borsa fissata male che ti finisce tra i raggi, un tizio che non si accorge del semaforo rosso.

Ovviamente un incidente ha conseguenze che possono andare dal nulla fino alla morte, in un crescendo di gravità.

Un altro termine che occorre introdurre è rischio. Nella gestione della sicurezza, il rischio ha una definizione un po’ meno semplice:

«rischio»: la combinazione della probabilità generale o della frequenza del verificarsi di un effetto nocivo indotto da un pericolo e la gravità di tale effetto;

Esaminiamo i vari elementi:

- Frequenza: espressa in eventi su tempo, esprime l’intervallo medio tra due eventi “verificatisi”. Per esempio, se a Roma abbiamo 3 ciclisti morti in un anno, la mortalità è di circa un ciclista ogni 100 giorni;

- Probabilità generale: la stima della frequenza con cui si verificherà un evento a partire da dati di progetto. Per esempio una pista ciclabile che separa i ciclisti dalla strada con una barriera fisica dovrebbe azzerare la probabilità di un incidente. Poi magari un TIR carico di incudini sbanda e abbatte il New Jersey…

Quindi possiamo già cominciare a capire come funzionerà il tutto:

a) Si prende un pericolo e si vede (o si stima) ogni quanto si traduce in un incidente e di che gravità.

b) Si assegna un valore alle conseguenze (in genere la classe peggiore è 1, la migliore 5) e si dispone il tutto su di una matrice a due dimensioni, frequenze e gravità.

4 – Danni al mezzo

Inevitabile

Acc.

3 – Ferite Lievi

Non Acc.

Inevitabile

Acc.

2 –Ferite Gravi

Non. Acc.

Non Acc.

Inevitabile

Acc.

1 – Morte

Non Acc.

Non acc.

Non acc.

Inevitabile

Frequente

(1/anno)

Raro

(1/10 anni)

Molto Raro

(1/100 anni)

Estr. Raro

(1/1000 anni)

Una volta fatta questa semplice matrice qualitativa, occorre stabilire quali combinazioni siano accettabili e quali no. E qui entra in campo la percezione sociale dell’accettabilità del rischio, che varia da persona a persona, da epoca a epoca e dai valori stessi della società.

Per non farla lunga, prendiamo il caso del motorino. Lo stesso rischio oggettivo, è accettabile per il figlio e non accettabile per i genitori…

Se prendiamo la matrice (assolutamente indicativa) e la riferiamo all’esperienza del singolo ciclista, possiamo forse considerarla realistica. Infatti una volta all’anno si può avere un incidente con danni al mezzo (per esempio una foratura che non si traduce in caduta), oppure sbucciarsi un ginocchio o rompersi una clavicola ogni 10 anni.

I gradi successivi non si verificano nella vita di ogni ciclista. Una caduta con ferite gravi è un evento non sperimentato da tutti i ciclisti, e anche l’incidente mortale riguarda un numero limitato di ciclisti.

Se però riflettiamo 1 incidente mortale ogni mille anni, significa un morto l’anno ogni 1000 ciclisti, ed è quindi una quantità enorme. Questo significa che una popolazione di 30000 ciclisti potrebbe portare ad avere 30 morti l’anno, una quantità mostruosa, e quindi la soglia dell’accettabilità dovrebbe essere spostata ad un morto ogni 10000 anni o meglio ogni 100000 anni, il che corrisponderebbe grosso modo ai 3 morti l’anno per il 300 mila ciclisti romani.

Per meglio comprendere il fenomeno l’analisi però deve farsi più accurata.

Infatti non tutti i ciclisti stanno per strada lo stesso tempo. C’e’ chi fa 4 km al giorno, chi ne fa venti, chi esce solo un giorno la settimana… capite voi che un’analisi seria richiede una stima affidabile dell’esposizione al rischio del ciclista, e dovrebbe basarsi su un dato medio di percorrenza (in termini di tempo e non di km).

La morale è che per controllare il rischio, noi possiamo agire sia sulla frequenza/probabilità (per esempio facendo le piste ciclabili) che sulla gravità delle conseguenze (abbassando il limite di velocità delle auto, per esempio).

Ma cmq ne riparleremo!!!!

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