La triste notizia della morte di un'altra ragazza in allenamento mi ha intristito. Tra l'altro, l'investimento frontale da parte di un automobilista in sorpasso sembra una cosa veramente assurda. Eppure è una situazione nella quale anche io mi sono trovato, dalla parte del ciclista, e sono scampato per un pelo. Quindi è una cosa che accade con una certa frequenza e sarebbe interessante capire quante volte succede.
Ovviamente ci sono stati molti post che hanno esternato tutte le reazioni possibili in questi casi... rabbia, dolore, apprensione e la giustificata paura di tutti noi ciclisti... che prima o poi capiti anche a noi un grosso incidente.
Ebbene, però tutti continuiamo a pedalare, magari perchè non crediamo nella sfortuna, e alla fine passata una settimana o due, sarà come se nulla fosse successo. E nemmeno questo va bene, perchè rimaniamo vasi di carne tra vasi di ferro.
Sulle due ruote siamo vasi di carne
La prima decisione "contro la sicurezza" la prendiamo quando scegliamo di andare su due ruote in un mondo di tram, camion, furgoni e automobili.
Chi viaggia in sella, moto, monopattino o bici non fa così tanta differenza, sceglie di correre molti più rischi di un che viaggia protetto da un abitacolo sorretto da quattro ruote.
Chi viaggia su due ruote è esposto alle cadute, siano esse per colpa o disgrazia. Chi non è protetto da un abitacolo è esposto agli urti.
Amen.
E' così e niente può cambiare questa realtà, bere o affogare. Quindi anche il nostro approccio alla sicurezza deve partire da queste considerazioni.
La misura della sicurezza è la minimizzazione del rischio
I miei colleghi inglesi orgogliosamente dicevano safety means no accident.
Una bellissima frase, del tipo uno vale uno... ovviamente uno non vale uno, e l'esperienza ci insegna che non c'e' niente che possa azzerare gli incidenti che possono accadere nel fare una qualsiasi attività, tranne l'azzerare l'attività stessa.
Quindi si è passati alla definizione di sicurezza basata sui grandi numeri e intesa come minimizzazione del rischio di incidente.
Il rischio è la combinazione delle conseguenze di un evento negativo e della sua probabilità di accadimento.
Quindi per ridurre un rischio si puo' agire preventivamente sulla probabilità che l'evento succeda o a valle dell'incidente per mitigarne le conseguenze. Per esempio aumentare la propria visibilità consente di diminuire la probabilità di un urto, laddove il casco dovrebbe servire a mitigarne le conseguenze negative.
L'accettabilità del rischio è un fatto personale (e sociale)
Come accennato al primo punto, le due ruote hanno indici di rischio molto più alti di quelli delle auto.
Una volta fatte le piste ciclabili rimangono gli incroci, messi i semafori ci sono quelli che passano con il rosso perchè si sbagliano, fai i sottopassi e hai altri problemi... qualunque cosa tu faccia alla fine si tratta di accettarne il rischio residuo, come facciamo quando entriamo nella vasca da bagno sapendo che ci sono un sacco di morti dovuti a incidenti nei bagni... diciamo che in genere non pensiamo che possa accadere a noi, pensiamo di poter comunque controllare la situazione.
Di contro le nostre società lavorano alacremente per ridurre i rischi, in genere con le famigerate "messe a norma" delle apparecchiature, degli impianti, degli edifici, dei veicoli.
Pensiamo solo che la tanto decantata 127 che costava solo 9,5 milioni di lire negli anni 70, di serie non aveva ne' cinture di sicurezza ne' poggiatesta... ne e' passata di acqua sotto i ponti.
Il fattore umano è la vera sorgente del rischio
In realtà il fattore umano (=errori, distrazioni o comportamenti intenzionalmente inappropriati) rimane la principale sorgente del rischio, perchè errori e distrazioni sono sempre in agguato. Come si dice in alcuni sacri testi sulle professioni a impatto di sicurezza... nessuno dice "adesso sbaglio", e anche chi cerca di applicare tutte le norme e tenere comportamenti corretti certe volte si sbaglia. L'analisi dell'errore (il "fattore umano") desta sempre infinita meraviglia, a posteriori, e rammarico in chi li ha commessi, sempre che sopravviva. Figuriamoci poi chi il problema non se lo pone proprio.
Tornando a noi
Tornando a noi, l'incidente che ha falciato la giovane vita della povera ciclista non sarebbe stato sopravvivibile nemmeno ad uno in moto, o su di un'altra macchina, e forse nemmeno ad un camionista. Quindi occorrerebbe capire cosa passava nella testa della persona che ha tentato quel maledetto sorpasso, se non altro per distinguere fattori personali, culturali, fisici e vedere eventuali elementi comuni con altre sitauzioni.
E' soprattutto molto importante intervenire sull'ambiente culturale, ammesso che c'entri, per esempio spiegando che non c'e' niente di disonorevole nell'andare piano o stare in fila, cosa che regge fino a quando non rischi di perdere l'aereo o di far tardi al lavoro. In questi ultimi casi ci vuole sorveglianza stradle, ma molto pervasiva per depennare dai patentati chi si comporta a quel modo prima che provochi un incidente.
Come possiamo vedere, anche volendo ci vuole almeno un decennio per riportare all'ordine almeno una generazione e mezzo di automobilisti che guidano mezzi sempre più scattanti... Anche volendo.
Però qualcosa si può fare già da subito. E la possiamo fare noi.
Non sono nemmeno d'accordo con chi dice che bisogna agire solo sugli automobilisti.
La pelle è la nostra e, senza patemi d'animo, possiamo prendere qualche sana precauzione, magari guardando chi sta più avanti di noi.
Per esempio sono almeno trent'anni che ogni motociclista sa che deve girare con il faro sempre acceso, anche di giorno. Senno' le macchine non ti vedono arrivare.
Mi pare che adesso sia diventato obbligatorio, tanto è vero che si accende al primo scatto della chiave. avere il faro acceso fa vedere prima e meglio una figura che è molto più piccola di quella di un'altra auto.
Questa strategia era non applicabile in bicicletta fino a qualche anno fa.
Adesso tra batterie sempre migliori e led ad alte prestazioni, anche chi va in bici ha la possibilità di farsi notare da distante.
Sentivo un collega che si allenava varie ore al giorno che diceva che le squadre dovrebbero adottare le luci sempre accese come standard di allenamento.
Ovviamente la paura è che a qualcuno venga in mente di renderle obbligatorie invece di agire sugli automobilisti.
Ragionamento giustissimo, però dal nostro punto di vista noi non possiamo controllare cosa fanno gli automobilisti, ma farci vedere da più lontano lo possiamo fare, e questo può contribuire a salvare un po' di vite.