Con la fine di marzo dovrebbe finire lo stato di emergenza COVID.
Tra i grandi rientri anche quello dell'orario scolastico unico, che però si porta appresso un ritorno alla congestione. Infatti, come si trova su di un articolo apparso sulla testata internet Roma Today Sono 130.000, secondo le stime di Roma Servizi per la Mobilità, le ragazze e i ragazzi che utilizzano il trasporto pubblico.
Pertanto un bel carico in più per un già provato TPL, che affronta il ritorno alla normalità in piena crisi, se non altro per le vicende che affliggono la rete su ferro, sia tramviaria che metro.
Dall'altro lato si fa poco perchè la bicicletta diventi il mezzo di trasporto preferito degli studenti della secondaria superiore, come è la norma nella maggior parte dei paesi europei.
Anzi, negli ormai 15 anni che seguo con attenzione l'evoluzione della mobilità ciclistica, a Roma nessuno si ricorda mai della possibilità di spostare l'utenza giovanile sulla bici. Che sia inquinamento, crisi di obesità, produzione di CO2, COVID, affollamento dei mezzi, tutti continuano a pensare che per gli studenti non ci siano alternative.
Un posto di primo piano rivestono le mamme-chiocce che temono che i loro "pargoli", stiamo parlando da 14enni in su, possano affrontare le prime responsabilità, e sicuramente i primi pericoli (come se non attraversassero mai la strada a piedi).
Però in questi anni molto è stato fatto (piste/corsie ciclabili e bonus biciclette) ma sul versante studenti poco è stato ottenuto, anche per quelle scuole servite da piste ciclabili.
Sicuramente vi è una componente culturale che vede in chi pedala un mezzo sfigato alla mercè dei motori.
Più concretamente la bicicletta non si può lasciarla fuori dalle scuole a causa dei mariuoli che ne fanno man bassa e quindi ai presidi andrebbe chiesto di trovare spazi di parcheggio all'interno degli istitui, almeno quelli che li hanno.
Ecco, in questo dovrebbe intervenire il sindaco, anche perchè in questo modo, spostando gli studenti sulle piste, tutti vedrebbero l'utilità concreta di una rete che è ancora percepita fatta ad uso esclusivo di una lobby di strambi "privilegiati" che abitano vicino al lavoro e possono permettersi di vestirsi approssimativamente sul posto di lavoro.
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