sabato 10 dicembre 2022

Sicurezza di noi ciclisti - Cosa serve e cosa no

La terribile morte del campione Rebellin ha riportato alla ribalta il dramma degli incidenti in bicicletta, che da noi sono veramente tanti. Però se ci pensiamo bene da noi i morti per strada sono tanti, come quelli sul lavoro, molti di più che in altri paesi nell'Unione Europea.

Sull'ondata dell'orrore ci sono stati molti interventi, che hanno posto e riproposto un cocktail di soluzioni. Il guaio è che ben pochi di questi interventi sono fatti da persone veramente specialiste di sicurezza, spesso di tratta solo di reazioni di cuore di persone giustamente indignate.

Più dannosa è la vena di massimalismo che si snoda attraverso tutti gli interventi. Il massimalismo è una delle maledizioni italiane, la trasposizione intellettuale del campanilismo nazionale. Fonte di rigidità e di contrapposizione, non cava alcun ragno da alcun buco.

Inoltre dobbiamo tenere conto che almeno un italiano su tre ha votato per uno schieramento politico che crede fermamente nella supremazia mezzo a quattro ruote, senza impedimenti tra le scatole. Ciò complica notevolmente il quadro del possibile.

Senza pretesa di avere il 100% della ragione, vorrei offrire qualche valutazione da specialista del settore, anche se non di quella stradale, coniugata all'esperienza di ciclista di molti anni.

1) Rebellin: ma siamo sicuri che anche in questo caso sia colpa del camionista?
Scusate per questo colpo allo stomaco, ma non avendo (almeno noi) alcuna informazione sulla dinamica dell'incidente non dovremmo saltare subito alle conclusioni.

Anche noi ciclisti commettiamo errori e qualcuno di questi errori può avere conseguenze fatali in tempo reale. 

L'incidente è avvenuto in rotatoria questo rende nulli tutti i ragionamenti sulle velocità, distanze minime, con buona pace dei massimalisti. C'entra il modo di comportarsi in rotatoria dei mezzi pesanti e dei ciclisti quando ci sono i mezzi pesanti.

2) Per favore basta invocare altre regole che nessuno segue. Pensiamo in termini di qualità della guida e corrette pratiche operative. 
La cosa che mi lascia sempre molto perplesso sono quelli che invocano nuove norme per salvare i ciclisti. Un caso tipico sono nuovi e più stringenti limiti di velocità. Se la gente non osserva quelli già esistenti, come si può sperare di risolvere qualcosa con limiti più stringenti? Casomai ci vogliono più autovelox!

Qui dovrebbe aprirsi un discorso molto approfondito, e magari una norma amministrativa ci vorrebbe, non per egolare i comprtamenti alla guida, ma per obbligare gli enti padroni delle strade a mettere autovelox (e soprattutto a tenerli funzionanti) in certe condizioni tipiche, per esempio su tratti privi di interruzioni dove le auto accelerano, e in particolare dove non vi sono piste ciclabili (serie) per le biciclette.

Provare per credere. Vedo a Nettuno come autovelox funzionanti, installati in punti strategici modificano sensibilmente il comportamento degli automobilisti.

Va anche considerato che vi sono sempre più attacchi vandalici agli autovelox funzionanti, e che quindi l'apparato andrebbe protetto con fototrappole e applicare con durezza le norme civili e penali sicuramente esistenti.

Vediamo inoltre di educare gli altri utenti della strada al rispetto dei mezzi più lenti, definendo appropriate pratiche operative. Le prativhe operative servono per applicare in maniera corretta le regole che nella maggior parte dei casi già esistono.


3) I guidatori di mezzi lunghi sanno come ci si comporta con le biciclette?
Non ho una statistica di quanti ciclisti siano morti uccisi da "mezzi lunghi". 

La prima cosa che mi viene in mente è che bisogna spiegare ai guidatori di "mezzi lunghi", camion, bus auto con roulotte o carrelli a rimorchio è che quando si affiancano ad un ciclista non possono girare a destra o accostare (questo in particolare per i bus) fino a quando non lo hanno superato del tutto. Altrimenti devono fermarsi e lasciarlo "sfilare".

Il concetto non è innovativo, ed è una conseguenza delle norme sul superamento. Chi supera ha la responsabilità di non interferire nella traiettoria del superato. 

E questo vale ancora di più in rotatoria.

A nostra  volta noi ciclisti dobbiamo stare attenti a non infilarci in trappole mortali perchè arrivando dietro, spesso da destra, difficilmente il guidatore ci vedrà prima che sia troppo tardi.

4) Adeguata distanza laterale dal ciclista
Mantenere un'adeguata distanza da ciclisti e monopattini è fondamentale e quindi è bene provare a definire una distanza operativa che assicuri un livello di sicurezza passabile.

Però anche una persona poco attenta capisce che la distanza di 1,5 metri in città non è applicabile, e che una macchina che ti passa accanto a 50 cm ma va a 25 all'ora è diversa da un TIR che passa a 100 all'ora a un metro di distanza.

Inoltre se chiediamo di applicare la misura del metro e mezzo tout-court diventano inutili o impossibili da realizzarsi tutte le corsie ciclabili, in quanto in città una macchina e una bici mai potranno viaggiare affiancate, nemmeno al semaforo.

E poi la bici può superare a destra se non ha 1,5 metri di distanza? e se stai su di una strada a tre corsie e la corsia sulla quale ti trovi è larga meno di tre metri (1.5 per parte) che devono fare gli altri utenti della strada?

Abbiamo quindi un concetto operativo corretto, quello di una sicura distanza laterale di sorpasso, che per essere declinato in chiave prima operativa (ed eventualmente solo dopo regolamentare) ha bisogno di ragionamenti abbastanza raffinati, a partire da una tabella bidimensionale che incroci dimensioni del mezzo e velocità, per esempio fino a 30, tra 30 e 50, oltre i cinquanta.

E presentarla a scuola guida e far vedere le conseguenze pratiche del non rispetto.

5) Le infrastrutture appropriate recitano un ruolo fondamentale nella sicurezza (dentro la città)
L'Italia ha tanti incidenti ciclistici anche perchè non vi è adeguata infrastruttura. In città i km di pista ciclabile per abitante sono da un quinto, ad un terzo di quelli delle città europee più evolute.

Quindi è fondamentale costruire reti ciclabili, sia piste che bikelane, per separare il traffico automobilistico e quello cilcistico.

Casomai il problema è come vincolare i comuni a realizzare una corretta rete ciclabile. 

Dal punto di vista regolamentare occorre prevedere un legame tra limiti di velocità, divieti di sosta e struttura delle strade, in modo da costringere i comuni a realizzare le reti per non penalizzare troppo gli altri utenti della strada.

Per esempio associare la possibilità di un limite a 50 all'ora solo per strade dove sono disponibili piste o corsie ciclabili, altrimenti tutti a trenta, sotto l'occhio vigile degli autovelox.


6) Infrastrutture appropriate recitano un ruolo fondamentale nella sicurezza (anche fuori la città)
Per quanto in città le cose vadano male, fuori città va peggio. Infatti le strade provinciali, regionali e statali sono tutt'ora realizzate senza tenere conto del traffico ciclistico.

Non serve moltissimo, già un metro a bordo strada, se ben tenuto, è una salvezza per il ciclista (questo dovrebbe far riflettere sul concetto di distanza laterale). 

Tra l'altro il vero pericolo arriva quando la strada è talmente stretta  che per superare il ciclista occorre mettere le ruote nella corsia opposta o adiacente, con le limitazioni del caso.

Ora andrebbe studiata la possibilità di fare un regolamento che costringa a modulare il limite di velocità sulle strade in funzione della presenza o meno di una corsia ciclabile. 

Se ci pensate è assurdo che sulla Pontina ci sia lo stesso limite di velocità (90 km/h) delle più sperdute migliare dell'Agro Pontino, dove spesso i ciclisti vengono investiti. D'altra il cittadino comune dirà:  perchè devo andare a 70 su una strada dove non si vede mai un ciclista? 


7) Chi si allena e non si sposta ragiona in modo diverso
Che ci piaccia o no per chi si allena osulle strade ccorre fare ragionamenti a parte.

Nelle mie escursioni ciclistiche, e anche quando prendo la macchina, vedo singoli ciclisti e addirittura gruppi interi fare cose discutibili, rischiose, se non addirittura pericolose, come invadere in gruppo la corsia opposta anche quando stanno arrivando altri mezzi.

O "infilare" file di maccine e camion ai semafori cercando di mantenere la media oraria.

Inoltre sappiamo bene che chi arriva sfinito alla fine dell'allenamento tende a sottovalutare i rischi a causa della stanchezza e dell'urgenza di finire nella media.

Per questo gli incidenti in allenamento costituiscono una categoria a se' stante che andrebbe studiata a parte in quanto la guida in allenamento rrisponde a logiche differenti.

8) Conclusioni
rendere le strade più sicure per i ciclisti è un'operazione seria, difficile, che richiede calma e gesso, ovvero serietà, costanza e attenzione.

Il massimalismo italico non serve a nulla, si tratta di soprattutto di cambiare il modo di guidare degli autisti dei mezzi più veloci, e di fare un certo numero di investimenti mirati non a rendere i mezzi a motore più veloci, ma rendere l'uso della bicicletta più sicuro.

La bicicletta elettrica ha aperto ad uno scenario di questo tipo, ma la strada è tutta da percorrere, e sopattutto, viste le condizioni culturali italiani, ancora tutta in salita.

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