sabato 21 marzo 2009

Dell’utilità delle piste ciclabili

Su Roma Pedala è scoppiata una polemica riguardo all’utilità, alla desiderabilità, e anche alla sicurezza, delle piste ciclabili.

Premetto che a me le piste ciclabili piacciono molto, anche quali elementi di arredo urbano. La saggezza convenzionale (la Conventional Wisdom) assegna alla pista ciclabile il ruolo di separare il traffico ciclistico da quello degli altri veicoli. Ciò dovrebbe permettere di sia di aumentare la sicurezza per il ciclista che di allontanarlo dalle fonti di inquinamento. Però…

Qualche però c’e’, e va considerato. I critici mi pare rimproverino alle piste ciclabili proprio il ruolo di separazione. Separazione che prima o poi finisce, e lì i problemi possono farsi seri, peggio che se la pista non ci fosse stata.

Pensiamo ad esempio una pista che scorre parallela ad una strada (sulla destra) ed arriva ad un incrocio. Due ciclisti vanno paralleli: uno sulla strada e uno sulla pista. Quello sulla strada è esposto al pericolo di essere urtato dalle macchine che vanno sulla strada stessa. Però arrivato all’attraversamento dell’incrocio gode di tutte le precedenze delle automobili.

Il ciclista sulla pista non è esposto al rischio di essere urtato nella marcia normale, ma arrivato all’attraversamento dell’incrocio, malgrado il semaforo sia verde, si trova esposto al pericolo delle auto che girano a destra.

Perché il pericolo si tramuti in rischio occorre aggiungere la severità delle conseguenze e la probabilità che questo accada. E’ chiaro, ad esempio, che percorrendo una strada a scorrimento veloce, con molte auto e pochi attraversamenti, convenga stare sulla pista ciclabile.

E’ altrettanto chiaro che una pista ciclabile con tante interruzioni può essere non molto più sicura di una tranquilla strada con poco traffico. Probabilmente quello che ci vuole è la protezione degli attraversamenti stradali della pista (magari con barre per rallentare il traffico veicolare).

Per quanto mi riguarda ritengo le piste un netto miglioramento della sicurezza. Lo sono ancora di più se si considera l’uso da parte di ragazzi e adolescenti.

Solo che talvolta la realizzazione si porta appresso alcuni problemi:

a) percorso inefficiente. Pensiamo al “nodo di Gordio” dello sbocco della pista della moschea su Viale Parioli. Si taglia sulla strada e tanti cavoli. Anche la pista della Colombo passa e ripassa da un parte all’altra… tre passaggi, in media 3 minuti persi.

b) Fondo peggiore della strada: i marciapiedi non sono la strada. Dove le piste passano sui marciapiedi, ahime’, il fondo è alquanto sconnesso. Forse i pedoni non se ne accorgono, i ciclisti di sicuro;

c) Strozzature di percorso: l’imperativo di non sottrarre spazio alle auto fa realizzare le piste “dove si puo’, come si puo’”. Alcune soluzioni sono effettivamente particolari e sono giustificabili esclusivamente in un quadro di bassa densità di bici…
Dissuasori: per non far entrare le auto si massacrano le biciclette. Non solo la pista tevere Nord, dove spesso devi scendere dalle bici, ma anche la Villa Borghese-Villa Ada sono disseminate di pali e paletti anti auto. I tozzi colonnotti di Viale Rossigni mi hanno sempre spaventato. Mi pare facilissimo farcisi male. Perché non sostituirli con qualche bella pattuglia di Vigili a fare multe a chi ingombra la pista?

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