venerdì 19 giugno 2009

Bikeshopping... ciclisti contro negozianti?

Il post sulla pista del Testaccio di Roma Pedala ha proposto ancora una volta il conflitto tra commercianti (direi negozianti) e ciclisti.

Fermo restando che dalle immagini di Google Maps non ho ben capito il motivo della protesta (ma dove sono i negozi di Via Zabaglia?) noi ciclisti, pur lottando per la città ciclabile dobbiamo capire che per il negoziante la posizione è, salvo qualche eccezione, praticamente tutto.
Prendete tabaccai, giornalai, negozi di elettronica, telefonini: vendono tutti gli stessi prodotti, magari qualche piccola differenza di prezzo, ma ciò che conta è la loro posizione, ovvero la combinazione tra passaggio di pedoni, automobilisti, parcheggi, etc.

Come scriveva un soldato alla sua bella: non è che le Australiane abbiano qualcosa di diverso dalle Americane, ma ce lo hanno qui!

Pertanto è comprensibile che ogni volta che questi elementi cambiano, ai negozianti corra un brivido lungo la schiena: sopravviverò al cambiamento? Figuriamoci in questo periodo di crisi, anche la perdita di un piccolo gruppo di clienti può significare non sopravvivere.

Impiantare una pista ciclabile, specie se sottrae parcheggio, legale o illegale, è vista dai negozianti come un serio problema. Sì dirà: lo erano anche le aree pedonali, e la gente poi è aumentata, anzi è esplosa. Vero, ma è detto (io non lo so’) che siano rimasti proprio gli stessi negozianti… Casomai sono arrivate le jeanserie.

Quindi il vero problema è che il Comune non sta proponendo la bici come mezzo di trasporto alternativo all’auto, ma piuttosto appare che la comunità dei ciclisti riesca ad imporre in maniera casuale, infrastrutture destinate ad essere poco utilizzate, a portare via traffico e clienti e a non sostituirli con nuovi.

Il coordinamento con le associazioni di commercianti può essere un ottimo mezzo per ridurre l’impatto delle piste. Personalmente ritengo che comunque ci siano tantissimi spazi per espandere le bici senza toccare le zone più densamente commerciali.

Inoltre l’istituzione di una nuova pista andrebbe comunque appoggiata, per esempio, dall’impianto di alcune stazioni di bike sharing.

Dal punto di vista personale ritengo che noi ciclisti dovremmo metterci d’impegno per utilizzare la bicicletta per lo shopping. Far capire ai commercianti che anche il ciclista è cliente, anche se non del benzinaio, che mi guarda sempre storto quando passo a Corso Trieste.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Io faccio già la spesa con la bici!
Certo non quella grossa per la settimana, ma di tutto un po'...
Quando sono col pargolo mi limito ad una busta (che comunque sono belle capienti), quando sono da solo mi allungo al mercato e prendo anche la frutta e altre cose, per non parlare del pane fresco tutti i giorni.
Bhè, tutto questo proprio perchè ho la possibilità di parcheggiare la bici: il supermercato ha gli stalli bici, il panificio una piazzetta dove mi lasciano sostare e al mercato posso entrare direttamente con la bici e caricare le buste.
Ci sono altri negozi intorno, ma logicamente mi fermo dove c'è posto per la bici...
Se fosse a piedi il mio percorso e anche la possibilità di carico sarebbe diversa e quindi farei scelte diverse e andrei in altri negozi...
Quindi, cari i miei commercianti, non è il caso di riflettere bene se i ciclisti sono un fastidio o dei clienti?

Mamaa

Lug il Marziano ha detto...

Mamaa, hai ragione, il problema è che i commercianti di adesso, quelli di Roma, sono sintonizzati sugli automobilisti, scooteristi e pedoni.

Non siamo ancora massa critica

Mammifero Bipede ha detto...

"Quindi il vero problema è che il Comune non sta proponendo la bici come mezzo di trasporto alternativo all’auto, ma piuttosto appare che la comunità dei ciclisti riesca ad imporre, in maniera casuale, infrastrutture destinate ad essere poco utilizzate, a portare via traffico e clienti e a non sostituirli con nuovi"

Questa tua frase mi spinge ad un'analisi un po' più approfondita.

In primo luogo il Comune (ma più che il Comune la collettività in senso esteso) non ha proprio la minima concezione della bici come "mezzo di trasporto". È un'idea che produce ai romani un viscerale, istintivo senso di rigetto. Chiamalo "problema culturale", se vuoi, ma per convincere il "romano medio" ad usare la bici dovrai prenderlo a calci (ed in molti casi nemmeno basterà). Per fargli entrare nella zucca che può esistere un modello di mobilità diverso da "parcheggio, traffico, code, parcheggio" occorrerebbe ricorrere a dei "campi di rieducazione coatta" sul modello dei gulag sovietici.

Una popolazione (o "bacino elettorale") di questo tipo può solo produrre una classe politica totalmente incapace non tanto di produrre, ma anche solo di immaginare un cambiamento. Tutto quello che sanno fare, nel migliore dei casi, è proporre, e produrre, piccoli "abbellimenti", piccole "sistemazioni", qualcosa che possano poi rivendersi alla tornata elettorale successiva.

In quest'ottica rientrano le ciclabili che vedi in giro: non si tratta tanto di "mobilità" quanto di "arredo urbano". Le associazioni dei ciclisti (e so di cosa parlo) non sono in grado di "imporre" un bel niente, anzi, si vedono piovere sulla testa segmenti di ciclabili improbabili, raffazzonate, scollegate, e devono pure difenderle ingoiando un rospo dietro l'altro.

Quello che si è fatto negli anni passati non è stato migliore. Per conto mio rivendico l'aver intensamente voluto due piste: il collegamento sulle banchine del Tevere e l'asse della Palmiro Togliatti.

Parlo di "collegamento" perché dopo aver visto realizzare il segmento "Tevere nord" (da Ponte Milvio a Labaro) per i mondiali di "Italia '90", ed il segmento "Tevere sud" (da Ponte Marconi a Mezzocamino) circa dieci anni dopo, per lungo tempo è mancata la parte più importante, quella che le unisse attraversando il centro cittadino. A posteriori sembra un'assurdità, ma è così: per quei quattro secchi di vernice stesi sui sampietrini ci sono voluti anni di discussioni e di pressioni (e già sono di nuovo in malora...).

Sulla Palmiro Togliatti mi sono giocato le funzionalità epatiche. Quello che difendo non è l'aborto attuale, bensì l'idea originaria di un asse capace di raccordare con continuità la valle dell'Aniene col quartiere Tuscolano e col parco dell'Appia Antica. Di quest'idea hanno recepito la forma, ma non la sostanza. Sono riusciti a realizzare due monconi inutili, scollegati da qualunque senso ed ormai semi-abbandonati.

È brutto a dirsi, ma ho perso ogni speranza di veder gestita questa città con un minimo di ragionevolezza. L'unica cosa che potrà riportarci tutti coi piedi per terra è una crisi sistemica come quella che già si intuisce all'orizzonte. Il problema è che da qui si vede solo l'imbocco del "tunnel", ma non se ne vede l'uscita...

Lug il Marziano ha detto...

Sono d'accordissimo su tutto.

Per quanto riguarda la fine del tunnel, lasciando da parte i miracoli, possiamo solo sperare che il bike sharing prenda piede, così da trasformare la bici in un fenomeno rilevante.

...se non si fregano tutte le bici!